No, il nostro Marco Belinelli, patrimonio del basket italiano, non farà ritorno ad Oakland, ai Golden State Warriors, se è questo ciò a cui stavate pensando, il Beli semplicemente in questa stagione ha davvero dimostrato di essere un giocatore con gli attributi, un guerriero!
Marco, per gli americani sosia di Sylvester Stallone, con almeno 20 cm in più, in realtà, è arrivato in Nba, scelta numero 18 del draft 2007, proprio ai Warriors, con un passato europeo da predestinato, in Eurolega a 15 anni, scudetto alla Fortitudo a 18, leader della nazionale ai mondiali del 2006 in Giappone, con la ciliegina di una favolosa schiacciata contro il Dream Team.
Summer league di livello altissmo, oltre i 20 di media, con una partita da 37, Belinelli dà l’impressione di poter essere una vera star Nba, da subito.Poi l’impatto con la dura realtà, Don Nelson e la fisicità degli esterni Nba, settore nel quale l’ultimo giocatore che esce dalla panchina è spesso un atleta devastante. Due stagioni da dimenticare, spesso relegato in panchina, qualche buona prestazione, con qualche perla come un favoloso canestro da dietro il canestro. In seguito, i Raptors, qui la situazione è diversa, c’è Bargnani, l’inizio è di buon livello poi, inspiegabilmente, la panchina, la perdita di fiducia e l’addio a fine stagione, destinazione New Orleans Hornets.
A questo punto della sua carriera, Marco Belinelli è la tipica guardia europea di alto livello, altezza da Nba, per il ruolo, poca esplosività rispetto agli esterni Nba, specialmente i colored, specialista del tiro da tre punti. Per questo gli “stranieri” della Nba sono generalmente dei lunghi, perché difficilmente gli esterni riescono a reggere l’aggressività fisica e atletica dei propri competitors.
Altri giocatori avrebbero fatto ritorno in Europa, per essere star assolute, Marco no. Il ragazzo da San Giovanni in Persiceto è testardo, lui vuole la Nba, è convinto di potercela fare, si allena tanto e solo in vista di un obiettivo, diventare un giocatore Nba di alto livello.
A New Orleans la svolta della carriera della guardia italiana, qui incontra Chris Paul, uno dei giocatori più forti della Lega, capace di rendere migliori i propri compagni, e convince coach Monty Williams a dargli il posto in quintetto, accanto a gente del calibro di Paul, Ariza e David West. Il coach preferì l’italiano a Marcus Thornton, emergente guardia adesso a Sacramento, capace sì di segnare 20 punti in una partita, ma fuori dal contesto di gioco di squadra, in isolamento, rompendo il ritmo.
Una prima stagione esaltante, a 10 di media, sempre in quintetto, con la chicca dei 18 punti contro i Lakers, al primo turno dei playoff, poi via Paul, via West, una stagione triste a New Orleans, seppur con i massimi quanto a medie realizzative, quasi 12 a partita.
Quest’ anno la chiamata ai Chicago Bulls, Marco vi arriva, per opinione dei media, da specialista del tiro da tre punti, giocatore ordinato, difensore discreto, grazie ad un grandissimo impegno sul parquet, ma atleticamente inferiore rispetto alle altre guardie Nba, esattamente l’opposto rispetto alle origini italiane, dove era sempre stato la prima stella assoluta, il realizzatore per eccellenza, quello legittimato a prendersi pause difensive.
Tutti conoscete Drazen Petrovic. Chiunque conosce le sue gesta sportive. Sapete qual’ è la frase che più si ripete su di lui in relazione alla sua permanenza in Nba? “Drazen si allenò duramente, si ricostruì il fisico, cambiò il suo gioco e.. “, beh, quello che è successo nei due anni successivi lo sapete tutti, compreso il tragico epilogo.
Senza voler fare un paragone cestistico con l’inarrivabile Mozart croato, Marco Belinelli ha dimostrato di avere quantomeno carattere, grinta e voglia analoghi, non ha mollato un attimo, si è allenato come pochi, ha scelto la strada più dura, tutto in vista di un unico obiettivo, giocare in Nba, ad alto livello, in una squadra di alto livello.
Dopo un inizio difficile e qualche incomprensione, l’infortunio di Rip Hamilton gli ha aperto le porte del quintetto, salvo ritornare sesto uomo al ritorno dell’americano. In ogni caso, dalla panchina o dal quintetto, Marco ha dimostrato di essere uomo da Bulls, producendo più di 10 punti a partita con 2 assist e 2 rimbalzi in 25 minuti di media, medie che crescono esponenzialmente nelle gare in quintetto, con più minuti a disposizione.
Adesso Marco Belinelli è un giocatore completo, tiratore come pochi, anche da distanze siderali, spesso uomo del canestro decisivo, gioca anche il pick’n roll dal palleggio, sia per concludere in proprio che per servire un assist al bloccante di turno, Boozer o Noah, è miglioratissimo nella visione di gioco e nella capacità di trovare il compagno smarcato, in difesa resta un agonista tremendo, non molla mai, farsi battere non rientra nel suo DNA, certo non potrà mai essere l’atleta numero 1 in Nba, ma in campo ha sempre il coltello tra i denti e questo, insieme alla sua tecnica, fa la differenza.
Il ritorno di Derrick Rose, tralaltro, potrebbe anche favorirlo perché, con le difese che flottano sul playmaker americano, ci potrebbe essere tanto spazio per i tiratori come Marco, che meglio si adatta al gioco di Rose rispetto a Hamilton, che preferisce uscire dai blocchi. Si sa, D-Rose preferisce attaccare il ferro e scaricare, non attendere in palleggio che il proprio compagno si smarchi in uscita dal blocco.
That’s all guys, questo è Marco Belinelli, dei tre italiani è sempre stato quello con la missione più difficile, sfondare in un mondo, quello Nba, settore guardie, dove l’atletismo è smisurato. Dopo cinque anni possiamo dire che ce l’ha fatta, Belinelli è un guerriero del parquet. Forza Marco!