Il ruolo del playmaker si è ormai completamente snaturato rispetto alla concezione originaria del ruolo, ovvero uomo d’ordine dedito alla creazione del gioco e mai realizzatore. C’è da dire, per la precisione, che in Nba il playmaker è sempre stato piú finalizzatore rispetto ai campionati Fiba, dove fino agli anni 80, la regola era Davide Bonora. Negli States, invece, giá negli anni 70 il ruolo comprendeva interpreti estrosi e talentuosi, spesso realizzatori e comunque sempre con il pallone in mano, forse anche negli anni 60, giá con Oscar Robertson, play-guardia da tripla doppia di media. Poi arrivò Magic, nel 1979, e il ruolo di point guard cambiò per sempre, e probabilmente anche la storia del basket.

Ma analizziamo le tipologie di playmaker che si possono ritrovare nella Nba, al giorno d’oggi:

Playmaker RETRÒ: premettiamo che il classico uomo d’ordine non esiste più, e forse per come era inteso nel basket Fiba, in Nba forse non c’è mai stato. Con playmaker RETRO’ ci riferiamo alla point guard dal grande IQ cestistico, tiro da tre punti fenomenale, visione di gioco, assist, capace di fare felice la propria power forward o il proprio centro. Parliamo in pratica di quello che era John Stockton o, in piccolo, Mark Price. Ad oggi difficilmente ne troviamo in Nba. Al giorno d’oggi, in questa categoria potremmo ricondurre Ricky Rubio, che però non ha il tiro da tre ed è tendente al run&gun, o magari Mike Conley, altro regista del parquet, in modo diverso però rispetto allo spagnolo, più votato a transizione e contropiede.

Playmaker ALL AROUND: beh, facile, si tratta del playmaker da tripla doppia di media, del Magic Johnson di turno (anche se nessuno sarà mai 205 cm e forte come Magic), o magari Jason Kidd, per citare un ex giocatore più recente, tralaltro alle prese con i nuovi Brooklyn Nets. Si tratta di giocatori capaci di fare tutto, all’occorrenza 25 punti, ma anche 10 rimbalzi o 15 assist, spesso grandi difensori. Nella Nba attuale, Rajon Rondo ne è l’esponente principale.

Playmaker CLASSIC NBA: Chris Paul e Tony Parker. Dietro di loro, un gradino sotto, Deron Williams. Il playmaker più classico, quello capace di mettersi in proprio, di giocare per la squadra, di andare dentro, di tirare da fuori, di prendere anche qualche rimbalzo. Ciò che di più vicino c’è al playmaker Nba classico, diciamo un Gary Payton o un Isiah Thomas, per citare due grandissimi del ruolo, anche se fisicamente tanto diversi.

Playmaker GUARDIA: sono le point guard votate principalmente ad attaccare il ferro, a fare canestro, a portare a casa 20 o più punti a sera. Insomma, giocatori che il gioco lo creano, ma non con la regìa, bensì dominando gli avversari offensivamente, aprendo con il loro strapotere offensivo spazi per se stessi e per i propri compagni. Numero 1, Derrick Rose. Numero 2, Russell Westbrook. Numero 3, Kyrie Irving, con serie possibilità di arrivare a breve molto più in alto. Dietro tutti gli altri!

Playmaker EGOISTA: in sostanza si tratta di una categoria di playmaker decisamente analoga a quella precedente. la differenza è che, se dotato di talento eccelso, il playmaker GUARDIA apre il campo per i compagni, se il talento è un gradino sotto, spesso si ricade in forzature e in eccesso di palleggio. Comunque si tratta di ottimi giocatori, che però peccano di egoismo. Esempi? Brandon Jennings e Ty Lawson.

Playmaker RUN & GUN: è la point guard più spettacolare, quella adatta per far correre in contropiede e giocare la transizione offensiva. L’emblema è Steve Nash, 40enne che ancora non vuol mollare. Di questa categoria anche John Wall, decisamente un animale da corsa.

Playmaker CORNER: il cosiddetto playmaker da angolo, quello che porta palla, apre l’attacco con il primo passaggio, e poi va in angolo a ricevere gli scarichi. Mario Chalmers ne è l’esempio attuale più evidente, in passato Derek Fisher è diventato famoso giocando così nella Triangle Offense.

Andrea Di Vita