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Le storie di oggi fanno forse più scalpore di quelle di una volta, di ragazzi che devono smettere di giocare a causa di infortuni ce ne sono davvero pochi, la chirurgia ormai fa miracoli, capita ancora però che la cattiva sorte distrugga i sogni di campioni o semplici promesse; la lista attuale è molto lunga, Yao Ming o Tracy Mc Grady, causa schiena e caviglie, hanno smesso prima del dovuto,tutto sommato però hanno avuto una discreta carriera, abbastanza duratura, sufficientemente lunga da mettere da parte qualche spicciolo. Poi ci sono i vari Oden e Roy, causa ginocchia, hanno smesso subito, troppo presto, si parla ancora di rientro, Roy ha tentato ed è fuori nuovamente dopo solo cinque partite.

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Storie vere. Tristi. La più triste è forse quella di Ralph Sampson, un mvp dell’ All Star Game, una finale Nba, il tutto a neanche 26 anni, poi il buio. La fine del sogno. Il tragico impatto con la realtà. Ma chi è Ralph Sampson, la torre dalle ginocchia d’argilla.

La sua stella ha brillato per un breve periodo, ma la sua luce è stata una delle più intense fra quelle che hanno illuminato i parquet della NBA: Ralph Sampson, sognava di segnare come Chamberlain e di vincere come Russell, ma invece si è fermato ad un passo dal paradiso.

Ralph Lee Sampson nasce ad Harrisonburg, Virginia, il 7 luglio del 1960. I primi passi nel mondo della pallacanestro li muove nelle scuole della sua città, e già a livello di high school acquista fama nazionale: porta due volte al titolo dello stato la Harrisonburg High, tenendo nell’ultimo anno medie di 30 punti, 19 rimbalzi e 7 stoppate a partita. Lui è già abbondantemente sopra i 7 piedi, 216 cm per noi italiani, e contro gli altri liceali fa la figura del papà che gioca con i bambini.

Sampson non è solo alto, è anche particolarmente agile, cosa che lo rende assolutamente immarcabile. E’ destinato a detta di tutti a grandissimi traguardi, nulla sembra precluso ad un talento del genere.In virtù delle sue incredibili doti atletiche e della sua altezza (circa 2,24m) Sampson era in grado di competere sia contro i grandi centri, ma anche contro giocatori più piccoli di lui, grazie ad una spiccata agilità. Queste sue caratteristiche gli consentivano di giocare molto bene sia sotto canestro, ma anche al di fuori dell’area pitturata. Si trattava di un giocatore incredibile, una ala forte di 2,24, capace di giocare centro, “the revolution”. Attaccava il ferro in post basso, correva in contropiede come un esterno, tecnicamente fortissimo per uno della sua altezza, capace di giocare fronte a canestro, buon tiratore, insomma, uno così prima di lui non era mai esistito.

Quando si tratta di passare al College, Sampson deve solo scegliere dove andare, ed opta per University of Virginia, l’università principale del suo stato, dove militò dal 1979 al 1983. Giocherà 4 anni memorabili stabilendo sfilze di record, tra cui quello di vincere tre volte in fila il Naismith Player of the Year Award, come solo Bill Walton era riuscito a fare prima ed anche il Wooden Award (due volte). A livello di squadra forse ottiene meno del previsto, portando i suoi Cavaliers alla conquista di un titolo NIT nel 1980, ad una final four NCAA nel 1981, dove però persero in semifinale da North Carolina, ed a 3 primi posti nella regular season della ACC, ma senza mai il guizzo nei playoff della Conference.

Quei Cavaliers erano un’ottima squadra, non erano solo Sampson, e la riprova è che riuscirono a tornare alle final four nel 1984, il primo anno senza il grande Ralph.

Ma Sampson è comunque considerato un giocatore superlativo, e l’idea di quello che può fare nella NBA eccita tutti. La prima scelta al draft 1983 tocca agli Houston Rockets, autori di una stagione pessima, con sole 14 vittorie: la scelta è ovvia, e Sampson si trasferisce in Texas, prenderà il numero 50!

La sua prima stagione NBA è da stropicciarsi gli occhi: 21 punti, 11 rimbalzi e oltre 2 stoppate a partita, il premio di Rookie of the Year vinto a mani basse e partecipazione all’All Star Game. Houston però è proprio una squadretta, e termina ancora ultima, anche se con 29 vittorie fa un bel passo avanti.

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Arriva il Draft 1984, forse il più famoso della storia. In quella stagione verranno scelti giocatori del calibro di Michael Jordan, John Stockton e Charles Barckley, con il numero due verrà scelto Sam Bowie, che pagherà per tutta la carriera il fatto di essere stato scelto prima di Jordan. Il coach di Houston, Bill Fitch fa una scelta molto sorprendente: pur avendo in squadra già Sampson, sceglie un altro centro, di grandi qualità e molto alto, il nigeriano Hakeem Olajuwon, che tra l’altro usciva proprio dalla Houston University. L’idea di Fitch è rivoluzionaria: le cosiddette ‘Twin Towers’, ovvero far giocare l’agile Sampson, 224 cm, in ala grande e Olajuwon, 213 cm, in posizione di centro. Le Twin Towers 10 anni prima di Duncan – Robinson. La cosa funziona fin da subito: i due fanno segnare entrambi più di 20 punti e più di 10 rimbalzi di media, ed i Rockets vanno ai playoff. Nessuno può contrastare una coppia così assortita, troppo grossi fisicamente, contemporaneamente troppo forti tecnicamente, Olajuwoon lo conoscete tutti, un manuale del gioco in post basso, con quel tiro in allontanamento che lo farà divenire Mvp della Lega nel 1994 e campione Nba nel 1994 e 1995, da Mvp. Ma questa è un’altra storia.

ralph_sampson_1983_11_01L’anno dopo la coppia comunque è ancora più devastante, ed i due, coadiuvati da un ottimo collettivo, portano i texani addirittura in finale, grazie ad un famoso canestro al buzzer beater di Sampson, una sorta di sospensione spalle a canestro marcato da Jabbar, qualcosa di mai più visto. E’ il punto più alto della carriera di Sampson, ed anche se poi la finale viene persa contro i terribili Boston Celtics di Bird, McHale e Parish, le twin towers sembrano il futuro del basket.

Sampson è forte, ha 26 anni, i suoi anni migliori ancora davanti, una tecnica sopraffina, atletismo, ha tutto per imporsi in una Lega in quel momento dominata da Magic e Bird. Ma la sorte è dietro l’angolo: le ginocchia di Sampson sono fragili ed iniziano a tormentarlo, e la stagione successiva riuscirà a giocare solo metà stagione.

Il declino è repentino, la sua produttività scende velocemente, ed i Rockets decidono di cederlo a metà della stagione 1987-88: passa ai Golden State Warriors, dove resterà un anno e mezzo. Poi due stagioni a Sacramento, una comparsata a Washington ed anche 8 partite a Malaga, in Spagna, prima dell’addio definitivo al basket giocato. Qualche sprazzo di talento, di tanto in tanto, niente di più, il fisico non glielo consentirà.

Di lui ci restano le immagini, ancora oggi risultano incredibili, un 2.24 m che corre in contropiede dietro Magic Johnson e schiaccia con un’agilità ed un controllo del corpo incredibili, con equilibrio e potenza. Era un fenomeno. Una stella che si è spenta troppo presto.

Proverà la carriera da allenatore, partendo come vice alla James Madison University, il piccolo ateneo della sua città, ma non sfonderà, e la sua storia diventerà quella di un americano medio, che troverà nella sua altezza non un punto di forza, ma il suo più grande limite. Ma quei tre anni restano nella storia del basket.

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