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Il basket, e lo sport in generale, non è matematica, non si può costruire una squadra mettendo insieme numeri e statistiche rappresentative di giocatori, la pallacanestro è questione di chimica. Una squadra, senza questa, non ha proprio dove andare, e Pacers e Knicks sono esattamente gli esempi diametralmente opposti di questa teoria. Certo, in molti di voi avranno visto il film Moneyball, interpretato da Brad Pitt, una storia vera sul baseball, nella quale il general manager di una squadra economicamente debole riesce ad ottenere enormi risultati mettendo insieme giocatori selezionati solo ed esclusivamente sulla base delle statistiche.

Ma quello era baseball, e soprattutto la storia racconta che il principio di base magari per quello sport è esatto, poi nei playoff contano altri fattori, tra i quali anche la fortuna o i singoli episodi. Torniamo al basket però, anche nel nostro sport le statistiche contano, ma non dicono tutto. Un esperto di pallacanestro può leggere una partita guardando le statistiche, ma i dettagli, quelli che fanno le fortune di una squadra, nelle statistiche, per quanto ad oggi siano notevolmente precise e sviluppate, non si possono leggere. Prendete Robert Horry, o Steve Kerr, o il Rasheed Wallace dei Pistons (perchè ai Blazers aveva statistiche elevatissime), parliamo di giocatori che chiudevano con 7 punti e 5 rimbalzi, e poi ti avevano fatto vincere la partita, nel caso di Kerr addirittura magari 2 minuti e 1/1 da tre punti, e magari quello però era il tiro decisivo.

Detto questo, veniamo finalmente agli Indiana Pacers, una squadra formidabile, cresciuta insieme ai progressi individuali dei suoi gioellini, su tutti Paul George, esploso grazie all’assenza di Danny Granger, e poi anche Roy Hibbert e, soprattutto, Lance Stephenson, pick numero 40 del draft 2010, lo stesso che vide protagonista Paul George con la pick numero 10. Onestamente, due furti clamorosi!!

Paul George, in quel draft, si ritrovava davanti, in ordine di selezione, John Wall, Evan Turner, Derrick Favors, Wesley Johnson, DeMarcus Cousins, Ekpe Udoh, Al Farouq Aminu e Gordon Hayward e, in buona sostanza, a parte i Wizards con John Wall e forse i King che con Cousins hanno almeno limitato i danni, le altre sette franchigie possono sinteticamente sparare al proprio general manager. Per non parlare dei 39 selezionati davanti a Stephenson, che neanche citiamo (unico davvero importante è Erick Bledsoe alla pick numero 18).

Ebbene, se hai la bravura e la fortuna di scegliere due così, allora una parte della squadra è fatta. Questi Pacers, quindi, allenati meravigliosamente da Frank Vogel, sono al momento la franchigia numero 1 della Nba, grazie sì ai singoli, ormai di assoluto livello, ma soprattutto grazie alla chimica di squadra e ad un sistema solidissimo che ricorda un pò quello Spurs, quantomeno quanto ad applicazione difensiva e coinvolgimento di tutti i players, mentre offensivamente i giochi sono differenti, essendoci meno tiratori sugli scarichi e soprattutto la presenza di un centro fisicamente dominante quale Roy Hibbert, come perno del sistema.

http://cdn1.therepublic.com/ – AP Photo/Michael Conroy

In questo contesto, leader e candidato al titolo di mvp della stagione è sicuramente Paul George, ala piccola 23enne di 204 cm, 24 punti, 6 rimbalzi e 3.5 assist di media a partita, davvero notevole, ma su di lui torneremo in seguito. Suo scudiero, nella posizione di guardia, “Born ready” Stephenson, un all-around da 14 punti, 7 rimbalzi e 5 assist. Ve lo ripetiamo, scelto alla pick numero 40!!!! Atleticamente un toro, potente, intelligente, uno che si sacrifica in difesa e corre in contropiede, un giocatore che tutti vorrebbero avere in campo, il sogno di qualsiasi coach. Accanto a questi due, operano i due lunghi, David West (13 punti e 7 rimbalzi di media), lungo tecnico e capace di giocare in 1vs1, sia dal post basso che dal post alto, e ovviamente Roy Hibbert (12 punti, 9 rimbalzi e 3 stoppate), quest’ultimo fondamentale sotto il punto di vista difensivo e, nei playoff (17 punti, 11 rimbalzi e 4 stoppate di media nella scorsa post season), in una eventuale finale contro gli Heat, anche offensivamente, dato che a Miami prediligono il quintetto con Bosh da numero 5 che, nonostante il talento e l’applicazione, è stato costantemente stuprato dallo strapotere fisico del centrone dei Pacers.

Accanto a questi quattro perni fondamentali del sistema, opera il playmaker, l’uomo chiamato a farli giocare senza sostanzialmente farsi vedere eccessivamente, una combo-guard ex Spurs, ovvero George Hill, gicoatore da 11 punti e 3.5 assist di media, con il 40% da tre. Da lui ci si attende ordine e di mettere i tiri piazzati che gli derivano dagli scarichi, dato che la difesa è concentrata sugli altri, e Hill svolge il suo lavoro egregiamente, portando anche un buon tiro in sospensione dal palleggio e una discreta capacità di attaccare il ferro, sia in penetrazione che giocando il pick’n roll.

Sotto canestro, dalla panchina, si alzano Mahinmi e soprattutto Luis Scola, campione argentino che ha accettato di buon grado un minutaggio inferiore per provare a vincere il titolo Nba, al momento produce 9 punti e 5 rimbalzi in 19 minuti di media, ma da lui ci si attende qualche exploit offensivo in post season, magari quella prestazione che ti regala una vittoria in più, quella che è mancata per eliminare gli Heat in pratica. Tra gli esterni, al momento, unico rilevante davvero è Watson, anche se ci sarebbe Danny Granger, infortunato a tempo indeterminato e pure con un gran bel salario.

Si era parlato di qualche possibile scambio per arrivare ad un playmaker di caratura superiore, magari uno da 7-8 assist a partita, in modo da avere George Hill in panchina come sesto uomo, per spaccare le partite. La pedina di scambio era Granger, ormai poco funzionale al sistema, dato che si era infortunato in una squadra che faticava ad arrivare ai playoff e nella quale era il leader assoluto, e si è ritrovato in una franchigia vincente con giocatori giovani e di assoluto talento. Non se ne è fatto nulla, perchè Granger è infortunato e, comunque, nessuno vuole trovarsi a libro paga il suo stipendio.

In questo contesto, il protagonista assoluto è Paul George, un talento cristallino, atleticamente una superstar, giocatore anche potente, la small forward perfetta da mettere contro a LeBron James. Un giocatore capace di realizzare dalla lunga distanza, in arresto e tiro, con un jumper in sospensione, in più dotato di un primo passo e un’accelerazione incredibile che gli consentono di andare fino in fondo attaccando il ferro, concludendo spesso con schiacciate pazzesche (e potrete vederlo nel video qui di seguito allegato). Soprattutto, un leade, uno di grande carattere, uno forte per davvero, che sa come si gioca in un sistema.

E qui torniamo al segreto dei Pacers, perchè, come detto nelle superiori premesse che fin qui vi saranno apparse come scollegato con il resto dell’articolo, il segreto dei Pacers non sono i singoli o le loro statistiche, è il sistema, la chimica di squadra, il gruppo! Perchè i singoli non bastano, devono giocare assieme, sacrificarsi l’uno per l’altro, e i Pacers sono proprio questo, un gruppo di giovani talenti, tecnici ed atletici, che giocano insieme con un unico obiettivo, spodestare gli Heat dal loro trono. E per riuscirci, difendono forte, si aiutano, hanno delle rotazioni solide e collaudate, in cui al singolo non importa il rischio di prendere un canestro dal proprio difensore, va comunque ad effettuare l’aiuto difensivo. Certo, poi devi avere Paul George, la materia prima non può mancare!

Questi sono i Pacers, una squadra forte, fatta di gente giusta al posto giusto, con un sistema solido ed una missione: in questo momento ad Indianapolic vedono solo i colori dei Miami Heat. Ai playoff ci divertiremo!

Andrea Di Vita

Ecco un video che vi fa vedere il meglio degli scorsi playoff 2013 degli Indiana Pacers: