Prendete un campione olimpico del lancio del martello,aggiungeteci una star del salto in alto e un centometrista di fama mondiale,durante la cottura mettete anche qualche centimetro d’altezza in più e dopo aver terminato indottrinate il vostro atleta sui principi della pallacanestro,e in particolare su quelli del ruolo di ala forte. Fatto? Bene,avete ottenuto il vostro Blake Griffin,perfetto da servire in contropiede e nel pitturato e ancor di più se abbinato con Chris Paul. Ora prendete Blake Griffin , toglieteli il senso di responsabilità verso se stesso,la sua squadra e la sua carriera e aggiungete una personalità affascinante ma problematica,un po’ alla Balotelli,per intenderci. Fatto? Bene…se la matematica non è un’opinione avrete ottenuto Shawn T. Kemp.
La leggenda di Shawn Kemp nasce ai tempi del liceo,la Concord High School,nell’Indiana,dove si guadagna la convocazione ai Mc Donald All-American (una sorta di All-Star Game liceale) e sciocca il mondo del basket decidendo di salire al piano di sopra,quello dei professionisti,senza passare dal college. A quel tempo erano davvero pochi (il primo fu l’immortale Darryl Dawkins) a tentare il grande passo direttamente dalla high school. Sì,fu lui a spianare la strada a gente come Kobe,Lebron,T-Mac,KG,ma anche a fuoriclasse di dubbia qualità come Kwame Brown (cliccate il link qui sotto e sentite il parere di un esperto) e Ndudi Ebi (avvistato anche in Italia a più riprese dove ha giocato tutt’altro che male).
Shawn viene selezionato con la 17esima scelta assoluta dai Seattle Supersonics nel Draft del 1989 e decolla (non necessariamente in senso letterale) subito,andando a formare con Gary Payton,scelto nel Draft successivo,uno degli assi play-ala grande più grandi di sempre. Sotto la guida di George Carl i Sonics raggiungono una finale di Conference nel 1993,dove si arrendono a Sir Charles,fresco MVP di quell’anno, e i suoi Suns,e l’anno successivo fanno registrare il miglior record della Conference venendo però clamorosamente eliminati dai Nuggets di Mutombo,testa di serie n.8,al primo turno dei Playoffs (bisognerà aspettare il 2007,quando i clamorosi Warriors guidati da Don Nelson sconfissero i vice-campioni dei Mavs al primo turno, per assistere di nuovo ad un evento del genere).
La svolta arriva nella stagione 1995-1996,quando i Sonics si aggiungono di nuovo il record di Conference e ai Playoff rifilano prima due cappotti a Sacramento e ai campioni uscenti di Houston,la spuntano 4-3 con i Jazz e arrivano in finale Nba. Ma Kemp si rivelerà solo un’altra vittima illustre di MJ che viene anche nominato MVP dell Finali,nonostante venga considerato da molti il vero MVP(solo Jerry West riuscì ad aggiudicarsi questo riconoscimento,nell’anno in cui venne introdotto, nonostante la sua squadra avesse perso). Nella stagione successiva Kemp mostra segni di scontento a causa del suo contratto a sua detta “non da star”,ma i Sonics ingranano fino ad arrivare alle semifinali di Western Conference dove i Rockets si prendono la rivincita dell’anno precedente. La stagione successiva Shawn viene ceduto a Cleveland e di fatto inizia il declino della star dell’Indiana che inizia ad ingrassare e ammette di avere problemi di tossicodipendenza ed alcolismo. Passerà anche per Portland e Orlando,dove è ormai l’ombra della grande star ammirata a Seattle,al sole della Florida termina la sua carriera Nba nel 2003. Clamorosamente nel 2008 Kemp si accorda con la Premiata Montegranaro,ma non arriva neanche all’inizio della stagione.
La carriera di Shawn Kemp ricorda vagamente quella del Jake La Motta a cui un Robert De Niro da Oscar ha prestato le fattezze in “Toro Scatenato”,capolavoro di Martin Scorsese datato 1980;le loro carriere sono state influenzate negativamente da problemi personali,in primis il sovrappeso ,che nel film di Scorsese,e nella vera vita di LaMotta,costrinse il pugile,stufo di dover tenere sempre sotto controllo il suo peso corporeo, ad un ritiro anticipato, e la stessa cosa fece con Kemp che perse l’essenza del suo gioco,ovvero l’atletismo straripante,sommerso da chili in eccesso che ne hanno condizionato inevitabilmente la carriera dall’approdo ai Cavaliers;entrambi inoltre non riuscirono a gestire il rapporto con le loro donne:nel caso del pugile italo-americano si trattò della morbosa gelosia che egli provava verso sua moglie,mentre Shawn accusò problemi opposti,come testimoniano i suoi sette figli avuti da sei compagne diverse.
Soprannominato “The Reign Man”,nome che ne cattura l’essenza di dominatore,Shawn Kemp è stato il capostipite della generazione di giovani cyberatleti senza senno (di cui Javale McGee è un nobile erede) che ha invaso la Lega negli anni Novanta. Dopo che Magic e Larry e in seguito Jordan avevano riportato “in auge” la Nba, questa è diventata un prodotto commercializzato e “pompato” all’inverosimile e i Kemp,i Payton,i Coleman o gli Hardaway della situazione erano i figli spirituali di questa decade Hip-Hop,talenti stupefacenti (sì,è un doppio senso) e sregolati,teste calde che sembravano dire “Welcome to the Nineties b****es”. Se il 32 gialloviola e il 33 biancoverde erano stati Michelangelo e Leonardo e gli anni ’80 possono essere considerati il Rinascimento della Lega,Payton e Kemp sono come Bernini e Borromini (tuttavia dubito che il duo di Seattle li abbia mai sentiti nominare),a loro modo artisti ed esponenti del Barocco Nba,eccessivo,instabile e ricco,un’esaltazione della massa e del movimento. Sono proprio questi due ad elevare l’alley-oop ad arte,il connubio di tecnica e atletismo con il quale hanno messo a ferro e fuoco le transizioni difensive,invaso le Top Ten delle migliori azioni e reso Seattle la prima “Lob City” d’America,prima che CP3 Griffin,Jordan e la banda di circensi dei Clippers iniziassero ad esplorare la stratosfera losangelena.
Bill Simmons,una delle più autorevoli penne del giornalismo sportivo statunitense, scrive nel suo libro “The Book of Basketball” (a mio parere il miglior libro mai scritto sulla pallacanestro,sfortunatamente inedito in Italia e disponibile solo in lingua originale) che l’inizio del declino di Kemp sia da imputare alla dirigenza dei Sonics di quel tempo. Seguitemi un attimo indietro nel tempo nell’estate del ’96:
i Sonics,freschi di una finale persa con i Bulls,ma desiderosi di tornarci firmano il centro Jim McIlvaine,un blocco di legno di sette piedi che difficilmente avrete mai sentito nominare, per una cifra nettamente superiore al suo valore che ha impedito alla dirigenza di Seattle di offrire a Kemp il suo contratto da stella che tanto desiderava. Quest’ultimo,frustrato ed indispettito,avrebbe approfondito (diciamo così) la sua conoscenza con alcol e droghe e calato forse volontariamente il suo rendimento sul parquet.
Solo i problemi personali hanno impedito a “The Reign Man” di ritentare l’assalto allo United Center,roccaforte inespugnabile in cui il Verbo del gioco si incarnava sotto la canotta numero 23,ma la storia (anche quella del gioco),non è fatta di “se” o di “ma”,tuttavia credo che con la giusta mentalità questo qui sarebbe stato un cliente fisso di Jordan in finale per almeno 3 anni. Poco importa,nella storia del basket un posto per lui c’è sempre.
Mattia D’Orazio