La vita di Lamar Mercer Odom è un’odissea.

Il suo è un viaggio a spirale senza fine ai confini tra il bene e il male.

Nasce nel Queens il 6 novembre 1979, la madre muore di cancro quando aveva 12 anni, l’ unico ricordo del padre, annebbiato tra droga e alcol, è il cognome, Odom. Cresce perciò con la nonna. Nel giugno del 2006 il figlioletto di 6 mesi muore nella culla a causa della Sudden infant death syndrome. A quel punto divorzia dalla precedente moglie per sposare Khloe Kardashian, partecipando anche a un reality sulle lore vite a Beverly Hills. Nel 2011, durante il lock-out causa la morte di un motociclista, mentre è alla guida del suo suv a New York. Da quel momento dicono non si sia più ripreso, ripiombando nel vortice della dipendenza da droghe. Risale a poco più di 15 giorni fa la notizia della sparizione di Lamarvelous, cacciato di casa dalla moglie, dopo il suo rifiuto di ricoverarsi in una clinica per guarire dalla dipendenza dal crack. Fortunatamente Lamar è ricomparso e ha accettato di disintossicarsi salvo il giorno seguente abbandonare il rehab. Lamar è stato un grandissimo giocatore, prima ai Clippers, poi a Miami e infine di nuovo a LA, sponda Lakers, sotto la guida di Coach Zen, riuscendo da sesto uomo a contibuire in maniera decisiva ai due titoli vinti dalla squadra di Jackson, Bryant, Fisher e Gasol. Ha vinto un bronzo olimpico ad Atene e l’oro ai Mondiali di Turchia. Tralascio volutamente le recenti comparsate a Dallas e ai Clippers. Citando Federico Buffa, che dedica un capitolo del suo libro, Black Jesus, alla “Odom Odissey”, Lamar doveva essere il nuovo Magic Johnson. E infatti le sue eleganti movenze sul campo, le pennellate mancine lasciavano immaginare questa possibilità. A 15 anni vince da assoluto protagonista il titolo liceale della Big Apple. Da quel momento compaiono intorno a lui presunti amici e perfetti estranei e Lamar si distrae, non va più a scuola. Viene coinvolto in uno scandalo e non riesce a frequentare il college a UNLV, Las Vegas. Si trasferisce così nel Rhode Island, il più piccolo degli Stati dell’Unione e ritrova la voglia di giocare a basket e studiare mettendo in mostra il suo enorme talento, guadagnandosi la chiamata numero 4 al draft del 1999. Purtoppo la telenovela Odom non è ancora finita, posso solo augurarmi che Lamar vinca le sfide che la vita gli metterà di fronte così come prima vinceva le partite sul campo da basket.

Alessandro Rustici