NBA FINALS 1980, GAME 6.

Earvin Johnson, classe 1959, 204 cm, playmaker.  Playmaker? 204 cm? Ebbene si.  Parliamo di Magic Johnson, ex stella dei Los Angeles Lakers, il primo vero all around della pallacanestro, capace di far davvero tutto su un campo da basket. Qualche analogia con LeBron James, quest’ultimo più potente ed atletico, anche maggior realizzatore, tuttavia neanche paragonabile per regìa, visione di gioco e abilità da passatore, sebbene King James sia eccellente anche sotto questi punti di vista.

Torniamo a Magic, arriva nella Nba nel 1979, da campione Ncaa, sconfiggendo l’università di Indiana di Larry Bird, preludio della rivalità che accenderà la Nba per il decennio successivo. Prima gara, vittoria rocambolesca dei Lakers, Magic corre ad abbracciare il più esperto Kareem Abdul Jabbar, che lo ferma spiegandogli che quella è solo una partita e i Lakers puntano al titolo Nba.

Magic recepisce, la stagione va avanti, il 32 dei Lakers, nonostante sia appena ventenne chiude con 18 punti, 8 assist ed altrettanti rimbalzi, prende subito la squadra in mano e raggiunge le finali Nba contro i Philadelphia 76ers di Julius Erving.

La stella dei gialloviola, però, è ancora Jabbar, ex Lew Alcindor, pivot di 218 cm e miglior realizzatore della storia della Nba, ai tempi già trentenne. In gara 5, con la serie sul 3 – 2, Jabbar si infortuna. La diagnosi è chiara, salterà gara 6.

La soluzione? Magic Johnson da pivot, lui, un playmaker. 204 cm al servizio della squadra. Il verdetto è chiaro, per Magic, alla fine, 42 punti, 15 rimbalzi e 7 assist, titolo di mvp e titolo Nba, al primo anno nella Lega, da rookie.

Da lì in poi i Lakers dello showtime accenderanno una delle più belle rivalità della storia Nba, contro i Celtics, rinvigorendo la rivalità degli anni 60 e 70. Magic e Bird ovviamente in prima fila, sempre uno contro l’altro, nemici in campo, amici fuori.

Questo era Magic, un playmaker nella testa, una classe infinita, un fisico che gli rendeva possibile qualunque cosa sul parquet, una leggenda.