Lo sport è da sempre al centro di storie e leggende, essendo una grande fonte di ispirazione nonchè elemento in cui confluiscono tantissimi valori, etici e morali, che fanno le fortune del grande schermo. Così, andando a memoria, non si possono non ricordare i celebri “La leggenda di Bagger Vance“, sul golf, oppure “Le riserve“, “Ogni maledetta domenica” e “Imbattibile“, sul football, fino ai grandissimi “Major League” e “Moneyball“, sul baseball, e comunque tantissimi altri non presenti in questa breve lista. Ecco, forse, per quanto riguarda il grande cinema, il calcio sta dietro tutti gli altri sport, perchè non è fenomeno americano e, quindi, a Hollywood non interessa. E la pallacanestro non è mai stata da meno, con grandissimi film.

A cercare in rete, si trovano tantissimi film che vengono ricollegati al basket, molti dei quali sono storie di fantasia, di cani giocatori di pallacanestro, di favole, addirittura al basket viene associato High School Musical, che solo a pensarci viene da rabbrividire. Torniamo al basket serio, quindi, parlando dei veri film sulla pallacanestro, con una breve premessa, però. Anche se Space Jam nulla ha a che vedere con “the game”, non possiamo non citarlo, essendo innanzitutto un fenomeno globale e, soprattutto, perchè vi hanno preso parte Michael Jordan e Bugs Bunny, oltre a Larry Bird e Bill Murray!

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Vediamo adesso i film più importanti sulla pallacanestro, in questa rassegna!

White men can’t jump

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Chi non salta bianco è! Questa era la pessima traduzione del titolo del celebre film degli anni 90 interpretato da Wesley Snipes e Woody Harrelson, traduzione letterale certo, che però non rende in italiano. Un film epico, uno dei primi in grado di raccontare la storia del playground americano, quello dove nascono le leggende, dove la verità è davvero questione di “witness”, ovvero di testimoni, dove le storie nascevano e si tramandavano per voce.

Certo, adesso non è più così, gli Usa sono cambiati, il mondo è cambiato, un talento da playground finisce sui monitor dei College in breve, difficilmente sfugge ai radar, ma le storie sui playground ancora esistono perchè negli Usa il basket da strada è roba seria.

Per farvi capire, negli Usa, se sei forte giochi nella squadra della High School, altrimenti stai a spasso. Se sei ancora più forte vai al College, poi c’è la Nba o l’Europa. Per il resto, c’è il basket playground, dove tutti vogliono vincere e dove tutti danno il massimo, dove nascono ancora leggende. Certo, magari non quelle di una volta, ai tempi in cui i migliori baller (spesso perchè colored) non potevano arrivare in Nba, ma pur sempre grandi storie di pallacanestro.

Questo film ve ne racconta una in particolare, un bianco che scherza il nero Wesley Snipes sfruttando lo stereotipo del bianco “scemo”, battendolo in una gara di tiro e portandogli via la relativa “grana”, lui che aveva giocato al college prima di infortunarsi. Da lì in poi, un susseguirsi di eventi che porteranno i due ragazzi a giocare insieme, prima per fregare i malcapitati di turno, poi per vincere i tornei e, soprattutto, tra furti, fughe e trash talk, ne faranno due amici!

Hoosiers: colpo vincente

Colpo vincente (“Hoosiers” in lingua originale) è un film del 1986 diretto da David Anspaugh, ispirato alla vera storia della Milan High School, la squadra del liceo di una piccolissima cittadina che nel 1954 vinse il campionato di pallacanestro dello Stato dell’Indiana, lo stato Usa dove il basket è religione. Ha ricevuto due candidature ai Premi Oscar, per il migliore attore non protagonista (a Dennis Hopper, celebre anche per “Easy Rider”) e la migliore colonna sonora.

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Un fantastico Gene Hackman interpreta Norman Dale, un allenatore di pallacanestro piuttosto noto nel dopoguerra, che a causa di un violento alterco con un giocatore, sfociato rischiò la radiazione dalla Commissione dello Stato di New York. Venne chiamato dal suo amico Cletus, preside liceale, nello sperduto paesino di Hickory per allenare la squadra della scuola e per offrirgli un’altra possibilità di lavoro.

L’inizio non è privo di difficoltà viste le problematiche relative alla piccola comunità, in particolare i suoi metodi non sono ben visti, nè per quanto riguarda gli allenamenti, nè sulla gestione del gruppo, soprattutto i membri di spicco della cittadina pretenderebbero di dire sempre la propria mentre il coach non ha intenzione di farsi dire come svolgere il suo lavoro.

Decide infatti di chiamare come assistente allenatore “Colpo in canna” (Dennis Hopper), padre alcolizzato di uno dei giocatori, e questo non viene ben visto dalla comunità. Inoltre, dopo le prime sconfitte, la situazione si fa sempre più critica, fino al momento in cui la città indice una votazione pubblica per esonerarlo, riuscendoci anche, fino all’intervento di Jimmy Chitwood, il migliore giocatore della squadra che aveva abbandonato lo sport ma che si rende disponibile a tornare a condizione che Dale rimanga.

Da lì in poi una cavalcata vincente fino alla vittoria del campionato statale, una delle storie più belle della pallacanestro, una storia d’altri tempi!

Glory Road: basta vincere

Un film davvero toccante, che descrive la storia di Don Haskins e dei suoi Texas Western Miners del 1966. Haskins, nella Hall of Fame dal 1997, è un allenatore che insegna pallacanestro a delle ragazzine in una high school. Un giorno gli viene proposto di allenare i Texas Western Miners, la squadra maschile del college di El Paso, Texas, una squadra davvero allo sbaraglio, sia a livello agonistico che economico, così coach Haskins decide di puntare sui talenti migliori che non approdavano nelle università più prestigiose, ovvero, nel 1966, i colored snobbati dagli atenei più vincenti (che mai oltrepassavano il numero di 2 o 3 giocatori di colore nel loro team).

La squadra verrà così formata da cinque ragazzi bianchi e sette afroamericani, che non saranno ben visti neanche dagli ex alunni e finanziatori del programma universitario, a causa dalla mentalità razzista di quegli anni. Nonostante tutti i problemi sociali che dovette affrontare, la squadra dei Texas Western Miners fece un’eccezionale regular season nel campionato 1965-66 con 23 vittorie e 1 sola sconfitta, centrando così l’ingresso al torneo finale del 1966 della Ncaa. In finale la squadra incontrò la University of Kentucky, i cosiddetti Wildcats, allenati da Adolph Rupp, coach egocentrico e pluri vincitore, e li batterono con il punteggio di 72–65.

Insomma, un grandissimo film che racconta una storia fantastica, un momento che cambiò il corso della storia, l’ennesima dimostrazione che lo sport può superare ogni confine di diversità tracciato dalla stupidità umana, con i ragazzi che faranno gruppo tra di loro, vincendo le reciproche diffidenze, arrivando fino in fondo, per dare una lezione di vita e di sport agli interi Stati Uniti, nei quali, a quei tempi, vigevano razzismo e segregazione razziale.

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Uno dei momenti più belli del film riguarda la sera prima della finale Ncaa, con il discorso del coach ai suoi ragazzi: “Guardatevi intorno, domani non possiamo vincere, non siete una squadra da titolo, siete stati fortunati finora ma domani la fortuna vi abbandonerà, per vincere a questi livelli dovreste avere cervello, qui dentro, da portare in campo, dovreste riuscire a pensare, ma questa squadra ha un eccessiva quantità della carnagione sbagliata; siete atleti certo, ma anche le scimmie lo sono, sapete correre, sapete saltare, magari anche segnare ogni tanto da fuori se allenati nel modo giusto, ma per giocarvela con una squadra vera, devo continuare o siete stufi di questa sfilza di assurdità? Io sono stufo, così stufo che stanotte ho preso una decisione che metterà un freno a tutto questo per sempre, Lattin, Flournoy, Artis, Cager, Worsley, Hill, Shed, cinque in quintetto, due cambi, quaranta minuti, sette giocatori, farò giocare soltanto i giocatori neri nella finale di domani, solo voi, Todd, Armstrong, Palacio, Myers, Bodwin, so quanto avete sudato per arrivare qui, l’ultima cosa che desidero è ferire un…” A quel punto, coach Don viene interrotto da Armstrong: “Coach, non posso mentire, io voglio giocare, tutti vogliamo giocare…. ma ora mi sento di dire solo una cosa: domani sera dovete entrare in campo e mostrare quanto cattivi sanno essere cinque fratelli sul parquet..ok.. e se non difendi come si deve, Flournoy, prendo a calci quelle chiappe nere che ti ritrovi”.

Blue Chips – Basta vincere!

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Pete Bell, interpretato da Nick Nolte, è un vulcanico coach di college americano, scoraggiato dalle innumerevoli sconfitte subite negli ultimi tornei universitari, a causa del reclutamento “illecito” effettuato dalle altre università, con la conseguente impossibilità di reclutare i migliori giovani del panorama cestistico americano.

Il coach, un uomo rispettoso delle regole Ncaa, ma affamato di vittorie e scoraggiato dopo aver scoperto che il suo unico buon giocatore vendeva le partite per guadagnare soldi, si lascia infine fuorviare da un ex-alunno dell’università che lo convince ad utilizzare mezzi illeciti per tesserare i giovani giocatori, attraverso mazzette, automobili e appartamenti. Arrivano così Penny Hardaway, ai tempi prima scelta degli Orlando Magic, e Matt Nover, che in quel periodo giocava in Italia, in serie A2, a Ferrara. Il mitico Shaq, a quel tempo gia una superstar al secondo anno Nba, anche lui agli Orlando Magic, nel film interpreta Neon Combs, ragazzo della Lousiana che viene invece reclutato senza ricorrere a mezzi illeciti, soltanto con l’aiuto della moglie del coach, una insegnante che lo aiuta ad ottenere i voti necessari per accedere all’ateneo. I ragazzi alla fine vinceranno il campionato, con un alley oop finale di Penny per Shaq, ma il coach, pieno di rimorsi, dichiarerà tutta la verità in una effervescente conferenza stampa!

Ispirato ad una storia vera, quella relativa allo scandalo dei reclutamenti illeciti nel basket universitario Ncaa, dove, ricordiamolo, è vietato pagare i giocatori. Tra le principali università, ricordiamo lo scandalo che colpì l’università del Michigan, ai tempi dei Fab 5.

Coach Carter

Coach Carter è un film del 2005 diretto da Thomas Carter e interpretato da Samuel L. Jackson, che si basa integralmente sul binomio sport/educazione, in particolare sui valori morali ed etici che formano la personalitá dell’atleta. Ispirato ad una storia vera, il film narra la vicenda di Ken Carter, ex giocatore professionista di basket, che si trova ad allenare gli Oilers della Richmond High School, scuola dove aveva mosso lui stesso i primi passi, quando era un giovane cestista.

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Carter, interpretato da S.L. Jackson, viene ingaggiato come allenatore dal liceo di Richmond proprio al fine di risollevare le sorti della squadra di basket dell’istituto, in crisi di identitá e di risultati. Al Coach spetterà il duro compito di farsi rispettare dai membri della squadra, più propensi a ritagliarsi uno spazio nel ghetto tra crimine e droga piuttosto che dediti alla pallacanestro.
Inflessibile educatore, anche nei confronti del proprio figlio, uno dei giocatori del team, Carter pretenderà dai propri giocatori risultati scolastici buoni, pena l’esclusione dalla squadra, attirandosi così addosso le ire di tutti, insegnanti e genitori compresi.
Arriverá a blindare la palestra impedendo gli allenamenti, per costringere i ragazzi a frequentare con successo i corsi scolastici.

Alla fine, la squadra, formata come detto da ragazzi appartenenti a famiglie molto povere e in alcuni casi già sulla via della delinquenza, dopo le iniziali schermaglie troverá la propria identitá e i ragazzi accetteranno Carter quale mentore si sul parquet ch fuori dal campo. Infatti, dopo duri allenamenti, con metodi inflessibili, il coach riuscirà a rendere consapevoli i suoi giocatori che la vita non riserva loro soltanto crimine e ghetto, spingendoli così a studiare e, grazie alle loro capacità nel basket, li motiverà a conquistare le borse di studio necessarie per accedere al college e per conquistarsi un futuro migliore.

Rebound – La vera storia di Earl “the Goat” Manigault

Earl Manigault per tutti era semplicemente the G.O.A.T. , the Greatest Of All Time!!

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“For every Michael Jordan, there’s a Earl Manigault. We all can’t make it.

Somebody has to fall. I was the one.” 

The G.O.A.T.

La maggior parte di voi, ne sono sicuro, conosce già tutto del personaggio e delle sue leggendarie imprese nei playground newyorkesi. Per quei pochi che invece ne hanno solo sentito parlare, o peggio non lo conoscono proprio, consiglio  di vedere Rebound – La vera storia di Earl “the Goat” Manigault. Eriq La Salle nel suo film del 1996, racconta la vita, la leggenda, la caduta e la risalita di un ragazzo col basket nel sangue, destinato a diventare il re di Harlem. Il film inizia con un’intervista a Kareem Abdul-Jabbar nel giorno del suo addio al basket giocato. Il giornalista gli chiede di fare un solo nome su chi sia stato il più grande giocatore di basket incontrato in carriera. La risposta?  “Beh, se devo fare solo un nome..accidenti..può essere solo the Goat”.

Poi le immagini tornano indietro al 1959, ad Harlem, dove il giovane Earl (interpretato da Don Cheadle), si allena e gioca ogni giorno nel campetto del quartiere, sempre con i pesi attaccati alle caviglie per potenziare i muscoli e poter colmare il divario di altezza che lo svantaggiava. Sono anni difficili ma nello stesso tempo spensierati, nei quali Earl ben presto si fa conoscere e rispettare nei vari playground della grande mela. La gente arriva da tutta N.Y.C. per ammirare le sue gesta, le sue azioni spettacolari: Goat riesce a saltare così in alto da prendere i soldi posati sopra il tabellone, inventa la  “DOUBLE DUNK”, con la quale schiaccia prima con una mano e poi con l’altra rimanendo in aria, a poco a poco diviene una leggenda di tutta la Big aplle, immarcabile per chiunque.

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Proprio su quei campetti entra in contatto con un personaggio molto influente nel mondo del basket del tempo, Holcombe Rucker, che per lui sarà un vero e proprio padre. Grazie a lui va via da quel posto pieno di cattive tentazioni ed entra alla Johnson C. Smith University dove si dedica agli studi senza tralasciare l’amore per la pallacanestro. Quando la carriera di Earl sembra in rampa di lancio, all’improvviso le cose cambiano: i dissidi col nuovo allenatore, ma soprattutto l’improvvisa scomparsa del suo amico-padre Holcombe Rucker, lo fanno precipitare nel periodo più buio e critico della sua vita. Abbandonato il basket torna ad Harlem dove ben presto cade nel vortice dell’alcool e della droga. In questo periodo compie atti criminosi per i quali diventa un frequentatore abituale delle prigioni newyorkesi, ma è proprio in una di queste occasioni, nel punto più basso della sua vita, che Goat trova in se la forza di reagire.

Infatti leggendo un libro di cui ignorava l’esistenza, contenente un intero capitolo dedicato alle proprie gesta, (“The city game” un best seller di Pete Axthelm, da molti considerato la vera bibbia del basket),  Goat riprende in mano la propria vita, affronta e sconfigge i propri demoni e decide di aiutare i giovani del suo quartiere a non rovinarsi con le proprie mani come era capitato a lui stesso.

Nella scena finale del film Goat incontra un vecchio amico di gioventù, ora criminale dedito allo spaccio di eroina, un assassino ora boss del quartiere, per convincerlo ad affidargli il vecchio campetto di basket sul quale era cresciuto. Se ne va via dall’incontro senza alcun consenso, deciso comunque a prendersi il Rucker Park, anche a costo della vita. Così, arrivato al playground, chiede a dei brutti ceffi di sloggiare per lasciargli il campo, consapevole che quelle parole avrebbero decretato la sua fine. Proprio mentre stava per essere annientato, si avvicina una macchina a bordo campo, è il boss in persona che richiama uno dei suoi e gli dice “Quello è the Goat, nessuno deve toccarlo, questo campo è suo, girate alla larga”!

Il rispetto guadagnato su quel campo era ancora nella mente addirittura di un boss della droga, che non aveva dimenticato cosa the Goat avesse rappresentato per tutta Harlem. Adesso Earl può realizzare quello che era il sogno dell’indimenticato signor Rucker, regalare ai giovani di Harlem un posto dove poter giocare a basket al riparo dalla droga e dagli altri problemi del quartiere.

He got Game

Eh si, cari amici, siamo sicuri che in tanti già lo sapete, ma repetita juvant! Quindi, per chi non lo sapesse ancora, HE GOT GAME non è un soprannome frutto del caso, Ray Allen viene chiamato così per aver recitato, quale co-protagonista, in un film, con questo titolo, in compagnia di DENZEL WASHINGTON!

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He Got Game, nei sobborghi newyorkesi, è una espressione con la quale si identifica un giocatore di grande talento, uno che fa suo il gioco letteralmente, uno bravo per davvero. Il film fu realizzato da Spike Lee al fine di mettere in luce l’ipocrisia della NCAA e lo sfruttamento degli studenti atleti. Se però il “Blue Chips” con shaq e Penny Hardaway parlava del marcio del college americano, inteso come il mucchio di soldi che navigavano del sommerso del presunto mondo dilettantistico, Spike Lee ovviamente attenzionò più il profilo colored del problema: «A questi giovani afroamericani offrono una macchina, soldi, qualche gioiello e l’esca di qualche figa bianca. Se sei il più grande giocatore di tutti i licei della nazione puoi star sicuro che arriveranno a sventolarti qualche paio di mutandine sotto il naso», dichiarò il regista.

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Siamo nella primavera del 1998. Jake Shuttlesworth è rinchiuso da più di sei anni nel carcere di Attica, presso New York, per scontare una condanna di venti anni di reclusione per l’omicidio preterintenzionale della moglie. Fuori dal carcere, suo figlio diciottenne Jesus è considerato la promessa più grande del basket liceale e le più prestigiose università degli Stati Uniti d’America sono disposte a tutto pur di averlo nelle loro squadre a partire dalla stagione successiva. Jesus, che con la squadra del suo liceo ha vinto da poco il campionato statale, non ha ancora compiuto la scelta e manca solo una settimana allo scadere dei termini. Per questo motivo, Jake viene convocato dal direttore del carcere che gli propone, da parte del governatore dello Stato di New York, una forte riduzione di pena se riuscirà a convincere suo figlio ad iscriversi all’Università di Big State, della quale il governatore è accesissimo sostenitore.

Per permettere l’incontro tra padre e figlio, Jake viene costretto a mangiare del cibo avariato ed allontanato in segreto dal carcere per motivi di salute. A questo punto, Jake ha una settimana di tempo per convincere il figlio Jesus ad iscriversi all’Università di Big State; a vegliare su Jake ci sono gli agenti Crudup e Spivey.

Jake incontra subito sua figlia Mary, che va alle scuole medie ed è molto felice di rivederlo. Molto diversa è la reazione di Jesus, che rifiuta di ospitare suo padre, lo tratta con astio e diffidenza e non accetta di parlargli.

Jake così si reca in un albergo a Coney Island, dove viveva con la famiglia e dove sono cresciuti i figli, un quartiere problematico di Brooklyn in cui una delle attività più diffuse è lapallacanestro da strada e i giovani passano ore sui playground. Qui conosce Dakota Burns, una prostituta, continuamente picchiata dal suo protettore, Sweetness. Jake si innamora presto della donna e farà quel che può per farla uscire dalla sua drammatica situazione.

Nel frattempo, Jesus vive una settimana molto difficile. Il ragazzo è infatti pressato da quasi tutte le persone che gli sono vicine, tra cui gli zii con cui è cresciuto dopo la morte della madre e la condanna del padre, il suo allenatore e anche la fidanzata Lala, che arriva addirittura ad accettare denaro per esercitare la sua influenza sul ragazzo. Riceve la visita di controversi procuratori sportivi che lo spingono a entrare direttamente nella NBA e di università che lo portano a visitare il loro campus per invogliarlo nella fatidica scelta. Jesus resta nell’indecisione: ha la sorella minore a cui badare, vive in un quartiere povero e diventare subito un giocatore professionista gli risolverebbe subito i problemi economici, privandolo però della possibilità di avere un’istruzione universitaria e con il rischio di venire circondato di parassiti e di cadere nei mille pericoli dello sport professionistico. Tutti sentono l’odore dei soldi che Jesus guadagnerà: la situazione lo disgusta non poco e continua a chiudersi in se stesso, rimandando la decisione alla conferenza stampa dell’ultimo momento.

Jake cerca invano di stabilire un dialogo con il figlio, raccontandogli tra le varie cose anche il perché del suo particolare nome: Jesus in onore del suo idolo “Black Jesus”, come era chiamato il cestista Earl Monroe, campione NBA con i New York Knicks nel 1973 e in passato stella dei Baltimore Bullets. L’ultima sera prima del termine della settimana di semilibertà, confessa finalmente al figlio il motivo per cui è uscito di prigione, e lo sfida a basket in un duello uno-contro-uno per costringerlo a scegliere l’Università di Big State: se vince il padre, Jesus si iscriverà a Big State; se vince il figlio, farà quello che meglio crede. Durante la prova, nel playground vicino casa, padre e figlio si confesseranno i loro più reconditi segreti, instaurando finalmente un dialogo per anni assente. La sfida viene facilmente vinta da Jesus, che davanti a Crudup e Spivey, sopraggiunti per riportarlo al carcere di Attica, getta davanti al padre le carte della sua iscrizione a Big State.

Tuttavia, commosso dalla sincerità e dall’affetto che il padre prova per lui nonostante i suoi rifiuti, Jesus accetta comunque di iscriversi a Big State e lo comunica ufficialmente durante la conferenza stampa al suo liceo, mentre Jake, ora tornato in carcere, riesce finalmente ad avere un dialogo con il figlio. Ma in conclusione il direttore del carcere si rimangia la parola negando l’abbreviazione della pena e vanificando così il sacrificio di Jesus.

 

Andrea Di Vita & Sergio Lombardo

Fonte: www.wikipedia.it